Viene da Ostuni (Br) e si chiama Dario Pumi. È in gara per vincere la statuetta con “Il Filo Rosso”, sezione cortometraggi. Scopriamo i suoi progetti in quest’intervista, conosciamo i suoi sogni (ma a lui chiamarli così non piace affatto).
Cominciamo subito con la domanda di presentazione. Chi è …?
Il mio nome è Dario Pumi. Potrei dire di essere un sognatore ma non mi piace questo termine. Sognare significa immaginare qualcosa che non accadrà. Piuttosto sono un ragazzo che cerca di realizzare i propri sogni. Sin da quando ero piccolo sognavo di diventare un regista. Per cui… Eccomi qui!
Tre domande da appassionato: qual è il suo regista preferito e il film/cortometraggio che non smetterebbe mai di rivedere? Perché?
Diciamo che mi innamorai di questo mestiere seguendo registi come Steven Spielberg o Tim Burton. Film come “Incontri ravvicinati del terzo tipo” o “Edward mani di forbice” mi hanno segnato profondamente l’infanzia. Da allora mi dissi “Diventerò un regista di film di fantascienza e fantasy”. Ma con il tempo scoprii un altro regista che, per un bambino, era più difficile da comprendere: Stanley Kubrick. Da allora me ne innamorai come pochi. Oggi il mio film preferito rimane “Arancia Meccanica”, con secondo solo “Donnie Darko”. Reputo che siano film che mostrano quel lato di noi stessi che rinneghiamo a causa di molti fattori: maschere imposteci dalla società, dall’educazione familiare e da esami di auto coscienza. Alex e Donnie rappresentano, infatti, l’uomo puro per eccellenza.
Da dove nasce l’idea per un cortometraggio? Dove trova gli spunti per realizzare le sue opere?
L’idea di scrivere “Il Filo Rosso” mi venne in metropolitana. Ero seduto di fronte ad una coppia di fidanzati che si facevano le carezze. In quel momento stavo sentendo musica con l’Ipod. Una di quelle tristi, avete presente? E mi giunse in mente la storia di una coppia che si ama profondamente ma che, a causa del fato, si ritroverà a doversi dividere e subire ciò che è la realtà di oggi: una mondo in cui non c’è spazio per l’amore. Una realtà in cui sofferenza e delusioni si celano dietro l’angolo. Molte delle mie storie, di solito, nascono da esperienze passate, vissute in prima persona. Altre, invece, lascio che sia la fantasia o le esperienze altrui a raccontarle.
La cosa più facile e quella più difficile durante le riprese?
Sicuramente instaurare un buon rapporto lavorativo è la cosa che può venire più semplice. Ciò con cui mi sono ritrovato sempre male è il montaggio. Sono una persona che ama il set. Adoro viverlo, avere a che fare con le persone. Mi piace il contatto, quell’ambiente che si crea quando conosci nuove persone. Montaggio significa stare chiusi in una stanza per giorni senza nessuno con cui parlare, se non il montatore. Se poi il montatore sei tu stesso, allora la noia raddoppia. Per il resto penso che fare un film, in generale, non sia uno sforzo difficile. Basta avere sangue freddo, professionalità e, soprattutto, trattare con educazione chi lavora con te.
Corto è davvero più bello?
Tutto è soggettivo. Personalmente preferisco più i lungometraggi, anche perché mi piace raccontare storie che abbiano lunghi intrecci al loro interno. Ma non mi dispiacciono nemmeno i corti. Personalmente, reputo che questi ultimi mostrino la bravura di un regista o di uno sceneggiatore. Raccontare storie che riescano a concludersi nell’arco di quindici minuti in modo eccellente non è da tutti. Però, essendo io amante del main stream, preferirei più avere a che fare con la prima categoria.
Qual è il suo stato d’animo quando, per necessità di lunghezza della pellicola, deve rinunciare ad una scena ben fatta?
Non mi è mai capitato di dover cancellare una scena girata. Di solito, quando scrivo o giro una storia, ho sempre chiaro il minutaggio che andrò ad affrontare e mi regolo di conseguenza. Comunque, presumo che non sia una bella cosa per un regista dover tagliare qualcosa che ha girato con il cuore. Ma, a volte, ciò che ci fa male può farci doppiamente bene nel dopo. Se il regista taglia una scena, è perché il montaggio lo richiede. C’è una differenza tra una scena che si reputa giusta e una scena che si ama. La prima è quella che tecnicamente non ha falle, la seconda ne ha ma sono invisibili al regista stesso. Un bravo regista deve sapere quando deludersi per compiacere pubblico e critica.
Nell’ambito del cinema italiano, in che misura è possibile proporre delle nuove idee e quanto invece si deve venire a patti con i produttori e i gusti del grande pubblico?
Una cosa che ho imparato per esperienza diretta è che per quanto tu abbia delle belle idee, scendere a compromessi è da prassi. Il comando è sempre della produzione, per quanto un regista o uno sceneggiatore abbiano il pugno di ferro. La furbizia sta nell’accettare i patti che ti propone la produzione e poi saper trasmettere le proprie idee grazie ad una battuta, ad un’inquadratura… In fondo, per quanto le idee siano contrastanti tra regia e produzione, ciò che conta è che quando un film viene proiettato, entri nel cuore del pubblico e faccia loro intendere cosa volesse rappresentare la storia.
Non può mancare una considerazione per l’oscar di Paolo Sorrentino…
Mi fa piacere che il nostro cinema si faccia sentire anche all’estero. Sorrentino è uno di quei registi che ha sempre saputo il fatto suo e che ha sempre saputo attrarre anche l’estero. Gli auguro in bocca al lupo per il futuro, anche perché tra qualche anno avrà me come avversario. Gli servirà!
Il David di Donatello è uno dei premi artistici nazionali più importanti. Cosa si prova ad essere inseriti tra i possibili vincitori della statuetta?
Ovviamente è un’emozione unica. È il festival in cui concorrono i più grandi esponenti della cinematografia di questo Paese e anche il trampolino di lancio per gli emergenti. I giovani registi che riescono ad arrivare alla grande serata dei David, aspirano a far vedere il proprio prodotto a critici, produttori e registi affermati che sono presenti in sala. Dire di essere felice è ben poco. Speriamo di arrivare in finale e dimostrare a tutti le potenzialità de “Il Filo Rosso”!
Prossimi progetti? Il sogno nel cassetto?
In questo periodo sto girando una serie web che si chiama “ZERO – The Series”. Siamo già finalisti ad un festival per tre nomination. Voglio prima concludere la seconda stagione che sarà girata a Giugno e poi si vedrà per il futuro.
Come sogno nel cassetto ambisco a conquistare il cuore del pubblico italiano e, un giorno, anche quello del pubblico straniero. Ma, intanto, spero di portare tutto il cast che ha lavorato a “Il Filo Rosso” alla finale del vostro festival. E colgo l’occasione per ringraziarli tutti dell’ottimo lavoro svolto, sia attori che tecnici!