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“Chi ha paura delle tartarughe”, regia di Edo Tagliavini
“Chi ha paura delle tartarughe”? A chiederselo è Edo Tagliavini. È questo infatti il titolo del suo corto, in corsa al David di Donatello per guadagnarsi un posto nella cinquina finale. Conosciamo meglio il regista, originario di Ferrara, grazie a questa intervista.
Finora dove ha trovato i protagonisti per le sue storie?
Arrivano un po’ da tutte le parti, con mezzi diversi: a volte sai che sono in viaggio e li aspetti, altre volte ti appaiono davanti per strada, in treno, su un giornale… a volte ancora sono dei Frankenstein, composti di parti provenienti da più luoghi, altre ancora scavalcano l’universo fisico di Morfeo e diventano oniriche presenze in carta e celluloide.
Succede anche che crescano da semi suggeriti da altre persone, dei quali mi prendo cura affinché diventino piante o alberi…
È capitato che abbia cambiato idea su come procedere in fase di scrittura della sceneggiatura?
Quando ragiono in termini “corti”, parto sempre dal nocciolo che sta dentro alla polpa, all’idea attorno alla quale costruire la storia: scrivo sempre di getto, più che altro per non perdere il ritmo, così da strutturare come un ballo rock ‘n’ roll le immagini. Succede quindi che rileggendo mi accorga poi di cadute di tono o di stile, e quindi ri-ragiono sulla porzione di “frutto” acerba in modo da compattare la storia in maniera ottimale.
Quale corto di sua realizzazione offrirebbe come biglietto da visita ad un produttore cinematografico?
Indubbiamente “Tao”, il mio saggio di Diploma del C.S.C., anche se del 1999 rappresenta fino ad ora il compromesso minore fra le mie idee, il mio stile e la realizzazione: a volte per veder realizzate le proprie idee ci vogliono anche i soldi capaci “tecnicamente” di sopportarle visivamente… Il mio è uno stile molto legato all’emozione visiva e cercare nuove idee linguistiche con le immagini serve anche tecnologia.
Aggiungo anche “No Smoking Company”, ottima storia in una giusta veste visiva
Quale fase lavorativa la impegna maggiormente?
Le pre-produzione senza dubbio è la più complessa, la più impegnativa: dal buon set si avrà il materiale da finalizzare, e se questo non è buono, allora diventano arrampicate sugli specchi per chiudere la storia in senso compiuto.
Che rapporto hanno le generazioni digitali con il cortometraggio?
È come avere carta e penna: finalmente tutti hanno la possibilità di “girare”… ma la domanda è: tutti hanno qualcosa da dire?
A guardare i prodotti postati su youtube mi viene purtroppo da pensare che il digitale sia sempre più usato in funzione “social” che narrativo/linguistico, con un rischio sempre più grande di dealfabetizzazione del mezzo.
La selezione del casting come avviene?
Dal mio punto di vista, è sempre la fisicità di un attore ad attirare la mia attenzione, a cercare nei suoi movimenti, nel suo apparire i punti in comune con il personaggio scritto: il secondo filtro è la sua effettiva capacità a sostenere il ruolo, anche se l’asso pigliatutto quando parlo con gli attori, è il rapporto epidermico di sincerità che s’innesca fra noi.
In tempi di autoproduzione invece, è spesso il personaggio scritto a essere sottoposto a casting in base all’attore disponibilità
Il corto è ancora lo strumento di promozione per un regista emergente?
Se esistesse un mercato e una buona possibilità di guadagno anche grazie al cortometraggio, questa sarebbe una domanda inutile: troppe volte si punta sul cortometraggio solo per arrivare a un lungo, e in questo caso ovvio che il cortometraggio è il miglior biglietto da visita… anche se oggi giorno con la pluralizzazione di format narrativi di internet, non è più il solo…
È possibile, spinti dalla sola passione, realizzare un corto di successo?
Certamente: come detto prima, alla base di un corto ci vuole una buona idea, e la capacità di “infilarla” bene dentro la scatola “budget”.
Ma “successo” oggi giorno ha purtroppo anche il risvolto dopato di internet: un milione di visualizzazioni sono indubbiamente un “successo”, ma tante volte a portare a tale risultato non è la qualità ma la voglia voyeristica che i “social network” amplificano dentro noi.
Quanto denaro è necessario per la realizzazione di un cortometraggio?
Non c’è abbastanza spazio qui per analizzare tutte le possibilità e combinazioni affinché si possa rispondere correttamente alla domanda 🙂
Di sicuro sarebbe sempre bene poter pagare, anche un minimo, tutte le persone che aiutano alla sua realizzazione: ne deriva da questo una prima basica differenza fra costo real cash e reale valore commerciale, anche se è indubbio che con il digitale costi tutto meno.
Capitolo a parte i costi per i corti fatti sotto il MiBac: si apre un vespaio 🙂
Le agenzie ed i festival nazionali che ruolo hanno oggi?
Un tempo erano l’unica vetrina: oggi giorno sono ancora il modo più fantastico di condividere passioni, errori, visioni e amicizia con altri registi, con un pubblico reale e con l’opportunità di capire e che oltre quello digitale, fatto di chat, condivisioni e telefonini sempre “toccati” esiste un mondo reale da vivere.
Poi ai festival c’è sempre un buffet 🙂