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“Stripes”, il corto di Marco Adabbo

“Stripes” è il corto che Marco Adabbo porterà al David per cercare di agganciare la cinquina, e magari qualcosa di più. Diamo la parola al regista di Foggia.

Cominciamo subito con la domanda di presentazione. Chi è …?

Marco Adabbo, trent’anni, Puglia. Sono uno a metà strada tra il sognatore e l’uomo con i piedi per terra. La fabbrica dei sogni da un lato e il problema di reperire fondi dall’altro.
Non mi è ancora chiaro se sono uno astratto o uno concreto.

Tre domande da appassionato: qual è il suo regista preferito e il film/cortometraggio che non smetterebbe mai di rivedere? Perché?

In realtà non ho né un regista e né un film/corto preferito perché ci sono così tante opere degne di attenzione e capaci di emozionare che è davvero difficile riuscire ad indicarne qualcuna.
E comunque è sempre lo stato d’animo che si ha nel momento della visione a trasformare un’ottima opera in un’opera perfetta.
Se proprio devo fare un nome però dico Mario Monicelli. È il regista che più rendeva i suoi film dei veri e propri manifesti della società in cui viveva. Anche piccoli gesti dei suoi personaggi potevano scatenare discussioni lunghe giorni. La mia è tutta invidia e ammirazione.

Da dove nasce l’idea per un cortometraggio? Dove trova gli spunti per realizzare le sue opere?

Gli spunti sono ovunque, basta vivere intensamente e questi non tardano ad arrivare.
L’importante è scegliere la storia giusta da raccontare perché c’è tanto lavoro di tante persone che passa tra una idea e la sua realizzazione.

La cosa più facile e quella più difficile durante le riprese?

Avere una troupe perfetta rende facile il set e di conseguenza scegliere i collaboratori giusti è la cosa più difficile. Sono due facce della stessa medaglia.
Ogni persona su un set, dal ruolo con più responsabilità al ruolo con meno responsabilità, può mandare in fumo gli equilibri di un set.

Corto è davvero più bello?

Rispondo con un aneddoto che mi è capitato di leggere riguardo a una intervista a Sergio Leone.
Giornalista: “3 ore e 40 di C’era una volta in America non sono tante per un film?”
Sergio Leone: “…Io credo che i film siano lunghi fin quando annoiano. Un film di 3 ore e 40 può sembrare un film di un’ora, e un film di un’ora e mezza può sembrare un film di 5 ore”.
Quello che voglio dire è che dipende dalla storia che si vuole raccontare. Sicuramente i cortometraggi aiutano a fare selezione di scene e situazioni.
Nei cortometraggi bisogna andare diritti al punto e questa è una cosa che se imparata può rendere eventuali lungometraggi futuri dei film che non annoiano. E questo lo si può imparare più facilmente facendo esperienza sui cortometraggi.

Qual è il suo stato d’animo quando, per necessità di lunghezza della pellicola, deve rinunciare ad una scena ben fatta?

È come nella teoria dell’evoluzione di Darwin. Le risorse di cibo sono limitate e la specie più idonea a reperire cibo riesce a sopravvivere.
Eliminare delle idee che magari ci sembrano buone è un percorso naturale nella scrittura di una sceneggiatura e nella realizzazione di un’opera.

Nell’ambito del cinema italiano, in che misura è possibile proporre delle nuove idee e quanto invece si deve venire a patti con i produttori e i gusti del grande pubblico?

Raggiungere il grande pubblico significa condividere una parte di te con migliaia di persone. Tutto sta a raccontare la propria storia, senza limitazioni e costrizioni, ma con il linguaggio del pubblico.
All’autore in questo modo va bene perché le sue idee e le sue emozioni raggiungono più persone possibili ed al produttore va bene perché raggiungere più persone possibili coincide con un ritorno economico.

Non può mancare una considerazione per l’oscar di Paolo Sorrentino…

La grande bellezza è un gran film. A prescindere dall’Oscar Paolo Sorrentino è un grandissimo autore non solo italiano, ma anche europeo e mondiale ed ogni suo film è un evento.

Il David di Donatello è uno dei premi artistici nazionali più importanti. Cosa si prova ad essere inseriti tra i possibili vincitori della statuetta?

Il riconoscimento del proprio lavoro è sempre una meravigliosa gioia. È una iniezione ad andare avanti e a continuare a lavorare per migliorare il proprio modo di raccontare.

Prossimi progetti? Il sogno nel cassetto?

Sono in preproduzione per il prossimo progetto. È una favola ambientata ad inizio ‘900. È un progetto in cui credo molto.
Invece il sogno nel cassetto sarebbe quello di riuscire ad ottenere più spazio per la distribuzione di film italiani. È un sogno che colpirebbe direttamente tutti i colleghi che si nella mia stessa situazione e non solo me.
Incrociamo le dita.