È in lizza per la conquista della statuetta con “The stranger”. Si chiama Lucio Lepri, viene da Firenze, è un regista di cortometraggi. In quest’intervista ci spiega quali sono le difficoltà che si incontrano nel suo mestiere, e lo fa senza peli sulla lingua.
Che vuol dire girare un cortometraggio oggi?
Ho girato il mio primo corto nel 2008 e ho sempre finanziato i miei progetti insieme al resto della troupe, in situazioni di arrembaggio estremo, quindi la mia esperienza è molto limitata. Girare un cortometraggio in questi contesti, in sostanza, significa condividere una sensibilità lavorando a un obiettivo comune. E’ un’avventura straordinaria.
Quale tipologie cinematografiche vengono meglio rappresentate da un cortometraggio?
Non credo che la forma del cortometraggio prediliga una tipologia cinematografica rispetto a un’altra. Credo semmai che un corto debba rispondere a esigenze diverse, rispetto a quelle di un lungometraggio, a prescindere dal genere cinematografico al quale appartiene. Il cortometraggio è esso stesso una tipologia cinematografica. Anche per questo considero la definizione “film breve”, per un corto, fuorviante. Così come lo sarebbe chiamare “romanzi brevi” i racconti.
Quale corto di sua realizzazione offrirebbe come biglietto da visita ad un produttore cinematografico?
“The stranger”, nel complesso, credo sia il mio cortometraggio più riuscito.
Quale fase lavorativa la impegna maggiormente?
Nella mia esperienza, la realizzazione di un cortometraggio è sempre un impegno totalizzante, in ognuna delle sue fasi. Ogni momento ha le sue meravigliose difficoltà, che ogni volta paiono insormontabili. L’unico confronto che trovo noioso e sconfortante è quello con le istituzioni e gli enti locali, che di norma sono del tutto assenti e se sono presenti, spesso, è pure peggio.
Che rapporto hanno le generazioni digitali con il cortometraggio?
Il digitale, offrendo mezzi economici, agili e di semplice impiego, ha reso più accessibile la realizzazione di un corto. E Internet, coi suoi sistemi di distribuzione gratuiti e funzionali, ha diffuso la voglia di farne. D’altra parte, questa popolarità del video digitale, unita alle basse esigenze qualitative del nostro paese e alla scarsa capacità di visione dei nostri imprenditori, artisti inclusi, ha inflitto l’ultimo colpo a un’industria e un mercato già agonizzanti.
La selezione del casting come avviene?
Curando personalmente la produzione dei miei cortometraggi e non avendo finanziamenti a disposizione, ho sempre trovato i miei attori tramite conoscenze, coinvolgendoli necessariamente nel progetto prima che nel ruolo. Per i corti, non ho avuto esperienze di “casting” nel senso “mainstream” del termine. Anche perché non esiste un “mainstream” dei cortometraggi.
Il corto è ancora lo strumento di promozione per un regista emergente?
Realizzare e distribuire un cortometraggio, presentarlo ai concorsi, mi pare sia ancora il metodo di autopromozione più comune.
È possibile, spinti dalla sola passione, realizzare un corto di successo?
Un cortometraggio, di norma, è un lavoro di squadra ed è in gran parte un’opera di artigianato, che richiede specifiche competenze e mezzi per applicarle. Avendo talento e passione, oggi è sicuramente più semplice di un tempo riuscire a realizzare un bel cortometraggio e a distribuirlo su larga scala. D’altronde i corti restano ai margini del mercato, quindi il loro successo si misura nella libera diffusione e nei riconoscimenti ottenuti ai festival.
Quanto denaro è necessario per la realizzazione di un cortometraggio?
Nelle realtà in cui abitualmente mi muovo, i cortometraggi si fanno con le idee e la collaborazione molto più che con i soldi. Le spese in denaro si limitano alla copertura degli spostamenti, del vitto e dell’alloggio, a piccoli acquisti per la scenografia e i costumi, per le materie prime del trucco e degli effetti speciali, al noleggio o l’acquisto dell’attrezzatura mancante. Un corto come “The stranger”, il cui costo ho stimato attorno ai 3000 €, è già un prodotto di fascia alta.
Le agenzie ed i festival nazionali che ruolo hanno oggi?
Ho tentato più volte di entrare in contatto con le agenzie, ma mi hanno sempre risposto di essere “al completo”. Come al ristorante. Quindi ho mollato e mi sono fatto da mangiare da solo. I festival aiutano i cineasti a promuovere il proprio lavoro, a vederlo finalmente proiettato su un grande schermo e a creare nuovi contatti. Partecipare a un festival è poi un modo per sottoporre il proprio film a un giudizio esterno, formulato da persone del settore.