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Torna al David Ciro D’Emilio

“Un ritorno”. È questo il titolo del corto di Ciro D’Emilio. Ma “Un ritorno” è anche quello del regista stesso, che, dopo il 2013, è ancora nella sezione corti per l’edizione 2014. Conosciamolo meglio.

Che vuol dire girare un cortometraggio oggi?

Vuol dire trovare una buona idea e fare di tutto per realizzarla. Vuol dire che devi sporcarti le mani e probabilmente lavorare come cameriere nel fine settimana o/e per tutta l’estate. Vuol dire capire se sei in grado di fare questo lavoro o se hai completamente sbagliato indirizzo, oppure renderti conto che la tua passione è così forte da farti andare oltre i tuoi limiti. Infine, per me, vuol dire imparare e raccontare con le immagini un piccolo mondo.

Quale tipologie cinematografiche vengono meglio rappresentate da un cortometraggio?

Non penso che ci sia una tipologia cinematografica specifica da rappresentare in un cortometraggio. Sono sempre più convinto che serva una piccola grande storia, raccontata nella maniera migliore, per emozionare il pubblico. Poi è sempre tutto un po’ relativo, molto spesso il pubblico del “cinematografo” non è lo stesso che vede i cortometraggi. In Italia soffriamo proprio di questa cattiva abitudine, quella di non aver mai stimolato le grandi masse alla visione dei film a breve metraggio.

Quale corto di sua realizzazione offrirebbe come biglietto da visita ad un produttore cinematografico?

Al di là delle molteplici pecche che riscontro nei miei lavori brevi, cosa che mi ha sempre spinto ad andare avanti imparando dagli errori, penso che sia “Massimo” che il successivo, “Un ritorno”, possano offrire spunti interessanti. Il primo per la scelta della messa in scena e per la forza umana dei due protagonisti; il secondo per il largo respiro lasciato ai personaggi e la durezza dei sentimenti.

Quale fase lavorativa la impegna maggiormente?

Penso quella delle riprese. Nella mia esperienza di cinema indipendente, la fase dello shooting è sempre quella più complicata da gestire, sia dal punto di vista logistico che da quello tecnico. I limiti e le complicazioni sono sempre stati all’ordine del giorno. Al di là di questi fattori, penso che sia in ogni caso la fase dove mi impegno maggiormente.

5. Che rapporto hanno le generazioni digitali con il cortometraggio?

Strano. Un rapporto che secondo il mio pensiero non ha trovato ancora una forma. Il digitale ha aperto a tanti, la possibilità di realizzare i propri progetti. Ma nonostante questo, vedo aumentare sempre di più aridità di racconto e mancanza di consapevolezza. Il fattore tecnico oggi sembra prevalere su quello artistico. Forse sarebbe meglio fare un passo indietro e avere più rispetto nei confronti di questo lavoro.

La selezione del casting come avviene?

Spesso nella maniera più anticonvenzionale, altre volte in maniera classica. Per esempio, nel mio primo cortometraggio, “L’altro”, uno dei due protagonisti non era un professionista. Lavorava in spiaggia, come porta ombrelloni. Aveva tanti muscoli e un gran cuore. In quel caso la scelta del personaggio cadde su di lui anche senza averlo provinato davanti a una macchina da presa. A volte è un rischio, ma ammetto che spesso mi piace lavorare anche con i non professionisti e pescarli nel quotidiano

Il corto è ancora lo strumento di promozione per un regista emergente?

Penso di si. La vera palestra per chi vuole un giorno raccontare una storia di lungometraggio e sicuramente confrontarsi prima con la breve durata. Vero è che il cortometraggio presenta innumerevoli differenze (e difficoltà) rispetto a un lungometraggio, legate soprattutto al cosa e come raccontare una storia in un tempo limitato. Non tutti ne sono capaci, spesso neanche noi che li facciamo.

È possibile, spinti dalla sola passione, realizzare un corto di successo?

Dipende cosa si intende per sola passione. Anche perché un minimo di soldini ci vogliono, e devi trovare anche dei bravi e competenti collaboratori. Non ci dimentichiamo che un corto o un film da solo non lo puoi girare. In più (e forse in primis) devi avere anche una bella storia da raccontare. Poi il successo dipende anche da altri fattori. Spesso pensi che un tuo lavoro sia valido per partecipare a tanti festival e poi non succede. Ma serve anche essere scartati per crescere e migliorare.

Quanto denaro è necessario per la realizzazione di un cortometraggio?

Dipende. Da 0 a infinito. Se racconti l’avventura e le peripezie di una formichina che da un angolo di casa tua deve arrivare all’altro, probabilmente puoi farlo anche con pochi spiccioli.

Le agenzie ed i festival nazionali che ruolo hanno oggi?

Un ruolo importantissimo. Un giovane regista in Italia ha bisogno dei festival, altrimenti il suo corto resterebbe in una cartella nascosta del suo computer. Negli ultimi anni sono nati tanti nuovi festival di cortometraggi, e questo è un bene. L’unico cosa che consiglierei spesso a molte kermesse è di migliorare la loro comunicazione con il grande pubblico.