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“Forme di poesia rinnovabile”, il corto di Camillo Valle

 

“Forme di poesia rinnovabile”. È il titolo originale scelto dal regista Camillo Valle per il suo cortometraggio, in concorso al David di Donatello 2014. Conosciamolo meglio.

Cominciamo subito con la domanda di presentazione. Chi è …?

Attualmente produco autori emergenti di poesia e realizzo brevi cortometraggi più vicini al cinema sperimentale che al più tradizionale cinema narrativo. L’anno scorso ero in concorso al David di Donatello – sezione short film – con il mio corto “The Art of Super 8’’, definito dalla critica, come una romantica apologia della più immortale delle pellicole. Attualmente ha vinto tre riconoscimenti: miglior documentario al Visionaria film Festival 2013, miglior documentario in Ungheria all’International super-8 film festival di Szeged e recentemente ho ricevuto un Diploma d’onore a Los Angeles al NOFI 2013. Quest’anno invece ho prodotto un piccolo progetto intitolato “Forme di Poesia Rinnovabile’’ e un antologia di poesia, che mi sta dando parecchie soddisfazioni.

Tre domande da appassionato: qual è il suo regista preferito e il film/cortometraggio che non smetterebbe mai di rivedere? Perché?

In questo periodo uno dei miei film preferiti è ”L’uomo proiettile” di Silvano Agosti. Lo amo particolarmente perché ogni volta che lo guardo è come se lo vedessi per la prima volta. Per quanto riguarda i cortometraggi, uno di quelli che guardo più spesso è “The man with the beautiful eyes’’ di Jonathan Hodgson, tratto da una meravigliosa poesia di Charles Bukoski. Se penso all’italia mi viene in mente il micro-metraggio ”Il mio corpo a maggio” di Matilde De Feo, un gioiellino visivo molto ingegnoso.

Da dove nasce l’idea per un cortometraggio? Dove trova gli spunti per realizzare le sue opere?

Per quanto riguarda il cinema politico qui in Italia ci sono spunti pressoché illimitati. A parte gli scherzi, che comunque raccontano parecchie verità, le storie sono ovunque, basta avere gli occhi per vederle, ma io non le amo particolarmente… preferisco i luoghi e le sensazioni che raccontano.

La cosa più facile e quella più difficile durante le riprese?

Sto lavorando ad un piccolissimo progetto sul problema delle grandi navi a Venezia, la prima bobina è stata la più complicata. Quando faccio riprese dopo un periodo di ‘’inattività’’, devo sempre rispolverare un sacco di cose che in qualche modo ho dimenticato. Questo è il momento più difficile. Mentre girata la seconda bobina, pure gli imprevisti mi vengono incontro creando scenari inaspettati e meravigliosi. Per me l’emozione più grande è sentire il suono della pellicola che scorre. Non sono ansioso di rivedere le immagini, anzi, aspetto sempre parecchio tempo per rivederle, mi piace dimenticarmi di tutto… per poi venirne sorpreso.

Corto è davvero più bello?

Amo particolarmente le forme brevi, non solo nel cinema, anche nella letteratura. Ho l’impressione invece che molti giovani registi abbiano la tendenza ad abbondare, rovinando così delle bellissime idee. I festival amano in particolare le storie di finzione con finali ben congeniati, ma a vincere molto spesso è l’animazione, che richiede competenze più elevate già in partenza. Per quanto mi riguarda invece, mi diverto molto con il documentario breve, forma sottovalutata in Italia, ma che, secondo me, lascia aperte ‘’diverse strade inesplorate’’.

Qual è il suo stato d’animo quando, per necessità di lunghezza della pellicola, deve rinunciare ad una scena ben fatta?

In realtà giro davvero molto poco, molto spesso un solo ciak. Quando ho un piccolo progetto mi diverto a montare in camera, ho preso questa abitudine, diversi anni fa, durante un bel work-shop tenuto da Leonardo Dicostanzo a Mantova. Il vero problema per me, sono i tempi di sviluppo e ultimamente l’impossibilità di seguire il telecinema. Purtroppo qui a Milano il laboratorio ha chiuso ed io ho perso un importante punto di riferimento. L’anno scorso sono riuscito a recuperare le mie ultime pellicole sviluppate, scampate al macero, con questo materiale ho realizzato “Lettere incompiute’’, con cui ho vinto un premio con segnalazione alla 27° edizione del Premio Montano.

Nell’ambito del cinema italiano, in che misura è possibile proporre delle nuove idee e quanto invece si deve venire a patti con i produttori e i gusti del grande pubblico?

Il grande pubblico mi sembra molto confuso e purtroppo conosce davvero poco il cinema italiano ed europeo. È stato ‘ammaliato’ dal cinema americano che regna nelle nostre sale cinematografiche. Per quanto riguarda gran parte dei produttori italiani mi sembra vadano incontro alla fetta più facile da accontentare, così come fa la televisione. Ovviamente con tutte le eccezioni del caso che a volte riescono a far nascere progetti davvero unici. Detto questo i miei piccoli progetti ho scelto di produrli da solo. Il problema principale relativo a cortometraggi, a mio parere, è che i festival non pagano i diritti di proiezione. Quindi il cerchio, in qualche modo, non si chiude. Per assurdo funziona meglio il settore musicale di cui non tesso certo le lodi.

Non può mancare una considerazione per l’oscar di Paolo Sorrentino…

A trentadue anni ho capito di non aver voglia di rispondere a domande… a cui non ho voglia di rispondere… ma il film l’ho trovato davvero splendido.

9. Il David di Donatello è uno dei premi artistici nazionali più importanti. Cosa si prova ad essere inseriti tra i possibili vincitori della statuetta?

Sono sempre molto curioso dei risultati. Al momento sto lavorando ad un cortometraggio un po’ anomalo. Spero il prossimo anno di essere ancora “in concorso’’!

10. Prossimi progetti? Il sogno nel cassetto?

Aprire una piccola casa editrice e chiamarla “Osteria del Tempo Ritrovato Editore’’, pubblicare un’antologia di poesia dal titolo “Stelle Cadenti nel fiordo di Atlantide’’ e ritirarmi a vivere in un posto vicino al mare.