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“Piccoli dei” di Daniele Lince ai David di Donatello
Nella sezione cortometraggi partecipa il regista Daniele Lince con il suo “Piccoli dei” . Scopriamo più da vicino, con questa intervista, qualche aspetto del suo lavoro, che condivide con un team affiatato perché è convinto che il cinema sia un lavoro di squadra.
Finora dove ha trovato i protagonisti per le sue storie?
«Gli attori dei miei cortometraggi sono quasi tutti attori di compagnie teatrali della zona in cui abito. Alcuni, invece, sono attori conosciuti attraverso amicizie comuni. Lavoro sempre con persone che, comunque, magari non sono attori protagonisti, ma fanno parte di compagnie di teatro o hanno fatto vari laboratori teatrali.»
In fase di sceneggiatura, le è mai capitato di cambiare idea su come procedere?
«Si, succede spesso, ma credo che sia una cosa normale, soprattutto in fase di scrittura, quando non è organizzato ancora nulla, non sono organizzate le riprese e ci stanno lavorando ancora poche persone. In scrittura credo che ci sia questa libertà di provare a prendere direzioni diverse.»
Mentre una volta che si è sul set?
«Una volta che si è sul set, a parer mio, bisognerebbe avere delle idee più o meno chiare perché ci sono tante persone, tante creatività, tante cose che devono funzionare tutte insieme, per cui improvvisare diventa davvero difficile.»
C’è un corto di sua realizzazione che offrirebbe come biglietto da visita per presentarsi alle case di produzione?
«Sicuramente l’ultimo, perché mi auguro e spero che sia il migliore. Non è “Piccoli dei”, che è il penultimo e con il quale partecipo ai David di Donatello. È “Il metodo Marcy”, che non è ancora pubblico perché l’abbiamo finito da poco, l’abbiamo chiuso da qualche mese, e adesso stiamo aspettando i verdetti da parte di alcuni festival a cui l’abbiamo iscritto.»
Qual è la fase lavorativa che la impegna maggiormente?
«Credo sia la parte organizzativa, quella pre shooting, pre-riprese, perché devi mettere insieme tante cose, devi organizzare, devi prevedere quasi tutto, anche gli imprevisti, ed è sempre bene avere un piano B. La fase delle riprese, invece, pur essendo faticosa, è la parte più sensibile perché è lì che nasce tutto il materiale che poi va al montaggio, per cui è sicuramente la fase più delicata.»
Generazioni digitali e cortometraggio: che rapporto c’è?
«Un rapporto diverso dal passato. Adesso viviamo in un mondo in cui tutti possiamo essere dei film maker perché le macchine da ripresa odierne costano sempre meno e offrono sempre più qualità, per cui il corto è diventato democratico, tutti possono girare un cortometraggio. E soprattutto ci sono dei canali, come ad esempio il web, che una volta non c’erano. Ci sono canali ,come Youtube, che danno la possibilità di trovare immediatamente un pubblico, grazie poi alla pubblicità che uno può fare sui social. Quindi ci sono sicuramente possibilità in più che una volta non c’erano. È ovvio che diventa molto più difficile distinguersi…»
Come sceglie il cast?
«Io non faccio un vero e proprio casting, forse perché non ne sono in grado. In realtà mi piace sempre, in fase di scrittura, insieme allo sceneggiatore con cui collaboro da qualche anno, pensare già a chi proporre il personaggio e i personaggi che creiamo e, ovviamente, il pensiero va sempre in quella di cerchia di conoscenze che abbiamo qua della zona, di attori che lavorano in compagnie teatrali. È ovvio che può capitare la volta che ci si spinge un po’ oltre, che c’è un personaggio che non riusciamo a dare a nessuno degli attori che conosciamo, per cui cerchiamo di incontrare e conoscere qualcuno di nuovo, anche per allargare la cerchia di attori con cui lavoriamo. Solitamente io non faccio dei provini, non credo di essere in grado di farli, e non potendo ancora collaborare con un direttore di casting, mi piace molto incontrare gli attori singolarmente, prendere un caffè con loro, chiacchierare, parlare un po’ del personaggio e della storia e poi vedere se scatta qualcosa… se si crea un feeling, tra me e l’attore, tra noi e il progetto. Se ci sono delle idee, se c’è qualcosa che si smuove, allora possiamo iniziare a pensare di lavorare insieme. Ovviamente mi interessa molto non solo il lato professionale-artistico, ma anche quello umano: gli do una grande importanza e credo sia fondamentale per lavorare insieme e creare qualcosa di buono.»
Ritiene che il corto sia ancora uno strumento di promozione per un regista emergente?
«Penso di si, per la sua brevità e i costi limitati. Credo sia perfetto. poi sul web le cose più cliccate sono quelle più brevi: uno vede tre minuti, cinque minuti e ci clicca sopra perché non gli ruba tanto tempo nella vita. Invece, per un lungometraggio è già più difficile convincere qualcuno a guardarlo.»
Quanto denaro è necessario per poter realizzare un cortometraggio?
«Tanto e niente. Noi sinceramente siamo abituati a realizzare cortometraggi a “base zero”. Base zero significa che magari possono uscire alcune centinaia di euro dalle nostre tasche, dai nostri risparmi, però non c’è un vero e proprio budget. Ci affidiamo molto a quello che viene definito “baratto professionale”, per cui c’è uno scambio. Magari il direttore della fotografia mette a disposizione attrezzature e anche il suo lavoro in cambio di un aiuto in altri lavori suoi.»
È possibile, spinti dalla sola passione, realizzare un corto di successo?
«Mi auguro di si. Ci mettiamo sempre tanta passione, ma il successo ancora non è arrivato, per adesso.»
Agenzie e festival nazionali, che ruolo hanno oggi?
«Potrei parlare di più dei festival, visto che i festival sono molto importanti, sono delle vetrine per chi cerca di avvicinarsi a questo mondo e trasformare la passione in un lavoro. Per cui hanno un ruolo decisamente importante. Per quanto riguarda le agenzie, io e il co-sceneggiatore siamo alla ricerca di un agente in questo momento e abbiamo scoperto che non è così facile trovarlo. Non so parlare molto, per adesso, di agenzie, ma credo siano fondamentali per potersi proporre a delle produzioni. Abbiamo scoperto che per poter essere presi in considerazione da una produzione importante c’è dietro una prassi: se non hai un agente che ti rappresenta, potrebbero non prenderti in considerazione.»