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Roberto De Feo, in gara con “Child K”

“Child K”, per la regia di Roberto De Feo, in coppia con Vito Palumbo, è in gara per la vittoria della statuetta, sezione cortometraggi. Scopriamo sogni e progetti in quest’intervista.

Che vuol dire girare un cortometraggio oggi?

Vuol dire poter imparare un’arte, poter creare, poter dimostrare il proprio talento, potersi esprimere, poter raccontare. Con la crisi e i pochi fondi alla cultura un giovane artista con il sogno del cinema oggi vede nel cortometraggio una delle poche chance per sognare.

Quale tipologie cinematografiche vengono meglio rappresentate da un cortometraggio?

Non credo ci sia un genere meglio rappresentato.
Tutto dipende dall’idea e da come viene realizzata. Ho visto piccolo capolavori di ogni genere, dall’horror al drammatico, dallo storico alla commedia.

Quale corto di sua realizzazione offrirebbe come biglietto da visita ad un produttore cinematografico?

Sicuramente “Child K”, il corto appena presentato all’ente David per il premio 2014.

Quale fase lavorativa la impegna maggiormente?

Sicuramente la produzione, anche se la scrittura è la mia frase preferita. Creare è ciò che mi fa sognare.
Purtroppo quando sei sul set a dirigere devi sempre scontrarti con la realtà dei “questo non si può fare”, “no, ci sono pochi soldi”.

Che rapporto hanno le generazioni digitali con il cortometraggio?

Il digitale ha avvicinato il cinema (e il mondo dei corti) a tutti. Non è più un lavoro destinato a chi ha i soldi per permettersi di noleggiare una macchina da presa. Ora chiunque può, e questa è la vittoria delle idee, perché non solo chi ha soldi ha grandi idee.

La selezione del casting come avviene?

Se hai scritto la tua storia, quando ti trovi davanti all’attore giusto non hai neanche bisogno di sentirlo parlare. Sai che è lui, lo senti. È qualcosa di magico che non si può spiegare.
E comunque la selezione è uno dei momenti più eccitanti del percorso. Vedi per la prima volta in faccia qualcuno che fino a quel momento era solo un nome scritto su un foglio. E’ pazzesco.

Il corto è ancora lo strumento di promozione per un regista emergente?

È uno dei pochi, in Italia forse l’unico.
Grazie ai cortometraggi tanti giovani con poche possibilità possono sognare un futuro in questo settore, per questo amo i corti e cosa rappresentano. Rappresentano una possibilità per registi, attori, maestranze. Per tutti coloro coinvolti nella produzione.

È possibile, spinti dalla sola passione, realizzare un corto di successo?

Assolutamente sì. Che cosa servirebbe altrimenti? La passione è la base di tutto. Per realizzare un corto ci vogliono mille sacrifici, si devono superare mille difficoltà. E senza passione non ci riesci.
Passione più talento uguale successo.

Quanto denaro è necessario per la realizzazione di un cortometraggio?

Ho visto piccoli capolavori realizzati con centomila euro, e altri piccoli capolavori realizzati con cinque mila euro.
Tutto sta nell’idea. La base per realizzare un prodotto professionale però, tra noleggi e tutto l’occorrente di solito richiede un investimento di almeno cinque mila euro.

Le agenzie ed i festival nazionali che ruolo hanno oggi?

Le agenzie non credo facciano in alcun modo la differenza per un regista.
I festival invece sì, perché permettono ad un regista di sentirsi ripagato dopo tanti sacrifici, di credere in quello che fa, di dimostrare a se stesso e soprattutto agli altri che il proprio talento è riconosciuto. E poi ti permette di avere credibilità agli occhi di un produttore, e in ottica futura è tutto.

>>> Leggi l’intervista al coregista Vito Palumbo